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LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO
(THE HOBBIT: AN UNEXPECTED JOURNEY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 dicembre 2012
 
di Peter Jackson, con Ian McKellen, Martin Freeeman, Richard Armitage, James Nesbit, Cate Blanchett, Ian Holm, Christopher Lee, Elijah Wood (Stati Uniti,Nuova Zelanda, 2012)
 

Rieccoci, dopo una gestazione laboriosa (la rinuncia di Guillermo del Toro inizialmente previsto alla regia, persino una denuncia da parte dell'Associazione per la protezione degli animali…) al primo di ben tre prequels che hanno lo scopo di raccontarci quanto accaduto alle origini della mitica e fortunata trilogia de IL SIGNORE DEGLI ANELLI. Se ne sentiva il bisogno? Diciamo lo stesso che aveva indotto George Lucas a offrirci cinque o sei GUERRE STELLARI Tim Burton e proseliti una mezza dozzina di BATMAN, altri i quattro SPIDER-MAN, la serie dei TWILIGHT… Per il cinema, ed è da tempo segno di crisi latente, il successo sembra coincidere con il calcolo industriale, l'investimento sconsiderato, le saghe, le serie, i prodotti derivati, le presunte innovazioni tecnologiche (ora dopo il nauseoso 3D siamo all' HFR, High Frame Rate, che sarebbe il doppio formato girato in 48 immagini al secondo).


Nel regista neozelandese Peter Jackson il grande talento visionario sembra procedere di pari passo con un'ambizione quasi sfrontata, ingorda, come già l'avevamo definita a proposito di AMABILI RESTI, nel 2009. A somiglianza di J.R.R. Tolkien, Jackson è maestro nello stile epico. Ma il medioevalista dell'Università di Oxford non era però un addetto al gigantismo; e questo ritorno alle origini dell'universo della Terra di Mezzo l'aveva concepito nel 1937 come un'evasione discreta, di dimensioni modeste, nel mondo delle favole infantili; per lanciarsi solo 20 anni dopo nel respiro poi assurto a leggenda del IL SIGNORE DEGLI ANELLI. Una parabola letteraria conseguente: ma della quale gli ideatori di questi ulteriori sviluppi cinematografici (i prossimi due sono previsti per dicembre 2013 e giugno 2014) sembrano essersi soprattutto ricordati il suggerimento del mago Gandulf al giovane hobbit Bilbo all'inizio di LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO: “ le buone storie meritano di essere abbellite”. E' tutto da verificare; e lo si poteva già intuire nel terzo degli episodi primitivi, IL RITORNO DEL RE, nel 2003: dove sussistevano le ragioni del primitivo incanto, l'arte della dismisura, la fusione fra splendore della natura e invenzioni del digitale, le reminiscenze della grandiloquenza cinematografica più nobile, alla De Mille, e riferimenti postmoderni al delirio figurativo caro ai preraffaelliti, ai Böcklin, a Gustavo Dorè. Ma anche i segni di una ripetitiva laboriosità nella costruzione drammatica, una sovrabbondanza stilistica tutta a discapito del lirismo, della poesia, della “filosofia”.


LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO ha momenti indubbiamente eccitanti: e ci mancherebbe, in un'impresa che ha coinvolto cinque diverse squadre di ripresa con quasi 50 cineprese. Ma il film è lungo, le situazioni ripetitive. Con più o meno gli stessi personaggi, gli stessi attori negli spazi ormai meno sorprendenti, dal drago Smaug che ha distrutto Erebor, regno dorato dei buoni nani, al loro impavido condottiero Thorin che dovrà guidare i suoi 13 colleghi a riconquistarlo attraverso il tradizionale itinerario dell'heroic fantasy, irto di apparizioni di meno in meno terrificanti, orchi troll, e bestiaccia varie; fino alla sola rassicurante presenza in chiave New Age degli elfi e della loro regina Galadriel (Cate Blanchett), unico personaggio femminile in 165 minuti di vago sospetto misogino. Confortato dal sostegno sovrannaturale del mago Gandalf (Ian McKellen, al solito tra i migliori) il giovane e inesperto hobbit Bilbo (Martin Freeman) sarà allora il personaggio nel quale lo spettatore finirà (un po' a fatica) ad identificarsi, fra i tanti simpatici ma inevitabilmente anonimi nanetti.


L'arte di Jackson era quella d'inserire il fantastico nell'ordine naturale, il realismo degli elementi naturali nella nuova magia degli effetti speciali: paradossalmente, i progressi del digitale non sembrano giovarle. Impressionanti per il loro potere di definizione, le aperture spettacolari sulle meravigliose distese neozelandesi hanno perso il mistero dell'ombra, la preziosa frontiera verso il non-detto: sono diventate impeccabili palestre nel videogioco di una gigantesca playstation.Talvolta riescono risultati strabilianti, come nello scontro titanico fra le montagne trasformate in giganti che si distruggono a vicenda. O in quel rimbalzare che si fa astrazione delle passerelle che precipitano negli abissi trascinandosi i nanetti. Piu raramemte riescono l'intimità poetica, come nella delicata sequenza dell'incontro fra il melanconico anche se discretamete raccapricciante Gollum e Bilbo Baggins. Sono i rischi, nell'affrettata epoca di You Tube, di affidarsi agli eccessi della golosità.


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